mercoledì 15 agosto 2018

Beni culturali chiusi a Ferragosto. Altro che Puglia365...


Ferragosto. Come annunciato ieri dal tg3 regionale - come a dire "non andate a Barletta", i nostri principali beni culturali (Castello/Museo Civico/Lapidarium, Palazzo della Marra/Pinacoteca De Nittis, Antiquarium Canne della Battaglia) sono CHIUSI.
E per quanto io conosca bene le difficoltà della pubblica amministrazione e sia sempre orientata alle "riflessioni strutturate" più che al grido, oggi provo rabbia e vergogna e voglio dirlo.
Ma quale idea abbiamo del nostro patrimonio culturale, della sua cura e conservazione, della sua promozione, dello sviluppo turistico, se poi cadiamo dinanzi all'abc?
Nessuna difficoltà giustifica una cosa così: TUTTI i nostri beni CHIUSI a Ferragosto. Canne della Battaglia ha una storia a sé - e lo sappiamo. Ma il resto? 
I nostri beni e servizi culturali sono quelli, sono diretti e gestiti da anni dalle stesse persone, conosciamo problemi, carenze, strumenti e calendari. Come è possibile che non ci si sia organizzati, che non si sia programmato? La città è piena di turisti. Cosa diciamo loro? Come li invogliamo a venire, a tornare, a parlare bene di noi? E cosa stiamo offrendo ai barlettani che non possono permettersi una vacanza e avrebbero piacevolmente potuto godere anch'essi di una visita culturale? 
Anni che si susseguono programmi speciali per il turismo, la promozione del territorio, open days e compagnia cantante. Ma come possiamo riempirci la bocca di "#Puglia365" se neanche nei 5 giorni fondamentali riusciamo a garantire aperture e fruibilità? 
Viviamo di improvvisazioni, di inaugurazioni, di episodi. Non sedimenta nulla. Nulla.

mercoledì 8 agosto 2018

Caro Pasquale...


Caro Pasquale (Pasquale Cascella),
se penso a quante te ne hanno dette…

Ora che è calato il sipario sull’ennesimo spettacolo avvilente andato in onda nel nuovo consiglio comunale, il mio pensiero è andato a te. Eri tu quello inadeguato, dicevano, il “corpo estraneo”. Tu “eri di Roma”, non avevi “il pugno di ferro”, serviva “l’uomo forte al comando” per tenere tutti a bada. Ora ce l’abbiamo un nuovo sindaco, è barlettanissimo, dicono abbia questo fantomatico pugno di ferro, eppure il copione è lo stesso. Chissà come mai. 
Chissà.

Comincerà ad essere chiaro a qualcuno in più che il problema non sono i sindaci?
Una crisi profondissima degli ideali politici e della Democrazia attraversa la nostra città e l’intero Paese da diversi anni. Questo è il problema e a questo occorre trovare una soluzione. Su questo occorre lavorare: la cultura democratica. Era già chiaro in campagna elettorale, quando si andava configurando un certo modello di disfacimento della politica che ora, dopo neanche due mesi dalle elezioni, si è già espresso in tutta la sua forza distruttiva.
Spero che in queste ore qualcuno in più lo abbia capito che non è il modello machista del leader autorevole e salvifico la soluzione. Come non è la soluzione neppure il migliore degli uomini, o la più pulita delle facce messa lì a portar la bandiera di una aggregazione senza anima.
Non è sufficiente nulla di tutto questo per sopravvivere a questo teatrino e non è utile neppure a scardinarlo. È il teatrino degli ultimi vent’anni, in cui grandi signori come te, Raffaele Fiore, Ruggiero Dimiccoli (cito quelli che ho più a cuore), hanno dovuto fare i conti con un’idea di democrazia - quella di molti dei rappresentanti eletti dal popolo - malata. Malata e molto contagiosa. E non è neanche una questione di separare il grano dal loglio, io credo. Il grano di oggi è stato loglio in passato e chi ha un minimo di memoria non può non ricordarlo. La malattia si è diffusa in questi lunghi anni e nessuno era immunizzato. Non abbiamo visto i segni (sempre isolate e ignorate le poche voces clamantes in deserto), non siamo intervenuti in tempo sui sintomi. Oggi è toccato doverla gestire a Cannito, ieri a te, l’altroieri ad altri. Oltre a gestire il numero dei caduti però è giunto il tempo di iniziare a lavorare nel campo della ricerca di una cura, io credo.
Ho ascoltato attentamente il dibattito nell’ultimo consiglio comunale: i concetti di politica, democrazia, amministrazione che ne sono emersi non sono solo avvilenti, sono anche molto gravi. E non lo dico solo per gli esiti della stessa riunione – il solito nulla di fatto con le conseguenti dimissioni del Sindaco, ma per la pericolosità dell’idea profonda che molti tra gli intervenuti hanno espresso. La politica come hobby. Il “peso” dei voti. La matematica invocata come criterio politico, le medie ponderate con un assessore virgola cinque ogni tot voti. Il ritornello che i partiti sono il male assoluto e basta mettere assieme amici, parenti e conoscenti in un elenco chiamato lista elettorale. I “desiderata dei cittadini” a sostituire il progetto e la visione. Sono concetti radicati in moltissimi rappresentanti dei cittadini, persone che si sono candidate e hanno preso trecento, seicento, ottocento preferenze.
Hanno cantato allegri il de profundis ai vituperati partiti sostituendoli con informi aggregazioni civiche, in cui si è liberi persino dall’onere della sintesi e della rendicontazione ad un collettivo, perché ciascuno è padrone del proprio consenso e “devi venire a parlare con ME”. Ecco il risultato. Ecco cosa accade quando si arriva a considerare i partiti, i corpi intermedi, come un disvalore: non c’è alternativa alla contrattazione con i singoli. E quando la distribuzione dei pani, dei pesci e degli assessorati per i singoli è conclusa, come si va avanti?
Ancora: quando le categorie di destra e di sinistra politica - e i rispettivi progetti, che divergono per visioni e interpretazione della società - vengono volutamente confuse o superate, la dialettica politica si sposta sulla retorica degli uomini di buona volontà che vogliono “il bene della città”. Allora cosa distingue un’aggregazione dall’altra? Cosa offriamo ai cittadini per consentirgli di scegliere, oltre alla credibilità personale dei singoli soggetti candidati, che poi - come detto - risultano padroni del proprio consenso?
Questi concetti, in ordine sparso, dimostrano che il problema non sta nei sindaci, perché ciascuno di loro - anche il più coraggioso e brillante dei leader tribunizi - quando poi arriva a governare, rimane immobilizzato dalla complessità del sistema. Mi ricordo come ti hanno irriso quando - rappresentando la tua cultura politica - richiamavi le minoranze alla “responsabilità istituzionale” nell’assumere le decisioni: oggi Cannito - alla primissima difficoltà - fa lo stesso, si rivolge alle opposizioni per uscire dal vicolo cieco. Perché governare è ben diverso dal proclamare e anche il Sindaco Cannito ha compreso che non c’è via d’uscita senza il supporto degli strumenti democratici. Ecco: il problema (e la cura) è nei metodi - che sono espressione dei modelli culturali, dell’idea di democrazia che abbiamo, della cultura politica che esprimiamo.
Serve ricostruire il tessuto sociale e la cultura politica in questa città. Serve ricostruire i luoghi della politica, liberandoli dall’ossessione dell’occupazione del potere e facendoli tornare ad essere centri di mobilitazione e di emancipazione, anche culturale, in grado di promuovere accurate diagnosi sociali attraverso una buona anamnesi (l’ascolto dei cittadini, ciò a cui dovremmo tornare con urgenza) e di impostare terapie, nuovi stili di vita e di comportamento politico e sociale.
Insomma, sono sempre più convinta che serva ricostruire - in un lavoro di lunga lena - una “cultura democratica”. È un cammino più difficile, io credo, ma ci conduce in un posto migliore.
Che ne pensi? Sono forse un’illusa?