L’altro pomeriggio sono stata al Castello. L’amministrazione
presentava con orgoglio, anche mio sommo orgoglio, l’iniziativa di cui vi
scrivevo qualche giorno fa (http://giulianainconsiglio.blogspot.it/2014/09/consenso-alla-donazione-di-organi-sulla.html)
e che consentirà da LUNEDI’ a tutti i cittadini
barlettani di inserire direttamente sulla carta d’identità
il proprio consenso o il proprio diniego alla donazione di organi e tessuti.
Barletta
è il PRIMO comune di Puglia ad aver aderito concretamente alla campagna “una
scelta in comune” ed è un primato di cui andar fieri. Diffondere la cultura
della donazione è e dovrebbe essere impegno di ogni amministrazione
responsabile.
Com’è naturale
quando si parla di vita e morte, l’attenzione e la partecipazione sono sempre
altissime. E infatti si è aperto un bel dibattito quella sera. Tutti, quasi
tutti gli intervenuti però hanno posto questioni che ruotavano attorno ad una domanda
di base, banale ma fondamentale: perché mai, anche davanti ad una esplicita
dichiarazione di volontà dell’individuo, espressa in vita nella più piena
consapevolezza, la parola finale sulla donazione degli organi spetta ai
“congiunti”?
(e qui,
peraltro, andrebbe aperta una parentesi sull’assurda discriminazione che -vigenti
tali leggi- subiscono le cosiddette coppie-di-fatto. Perché oggi l’ultima
parola spetta ai “familiari”. E la persona che si ama e con cui si condivide vita,
casa, esistenza ma con la quale, magari, non si è sposati, etero o omo, la
persona che più ci conosce e a cui più siamo legati, l’unica persona che magari
ci è rimasta se abbiamo perso fratelli, genitori e non abbiamo consanguinei che
non siano cugini di terzo grado, per la legge non conta un cacchio. Ma questa è
un’altra storia.)
Parentesi
a parte, ma neanche tanto parentesi (i diritti dell’uomo si intersecano tutti,
c’est inevitable), dicevo: possiamo gloriarci di tutta la sensibilità e la responsabilità
del mondo per aver avviato una pratica che diffonde la cultura della generosità
e del dono, ma nella sostanza resta la frustrazione – da amministratori – di non
aver risolto granché.
Perché quand’anche
una persona abbia indicato in vita (con atto olografo depositato presso studio
notarile, iscrivendosi all’AIDO, o con dichiarazione su carta d’identità ed
immissione nel registro dei donatori) di voler donare i propri organi, la
sua dichiarazione può non aver alcun valore dinanzi alla volontà dei
familiari che, in un contesto di profondo dolore, turbamento e tristezza e
dunque senza neanche la più piena lucidità, esprimono un diniego. Ed è la LEGGE
che lo dice.
E la
libertà dell’individuo, l’autodeterminazione, i diritti dell’uomo costituzionalmente
e universalmente sanciti, che fine fanno? Anzi, dove sono?
Perché dobbiamo
accettare, dopo anni di violentissimi dibattiti per affermare questa o quella
ragione, che non ci sia ancora una legge adeguata in Italia? Perché dobbiamo
aspettare che il vuoto normativo diventi ampio quanto una voragine e, nell’attesa,
sperare in sentenze dei Tribunali d’Italia a cui appellarci, non senza costi,
per vedere garantiti i nostri diritti? Perché la Convenzione di Oviedo sui
diritti umani (che stabilisce che è obbligatorio considerare e rispettare la
volontà del soggetto), redatta nel 1997, recepita in Italia nel 2001, è ancora
priva di validità nel nostro paese per assenza dei decreti legislativi necessari
alla definitiva ratifica? Perché mentre si innova e si riforma instancabilmente
accaventiquattro, i diritti restano fermi al medioevo della ragione? Perché, allargandoci
un po’ dal concetto della donazione degli organi, dobbiamo aspettare la nuova
valanga di casi Welby ed Englaro per ritornare a discutere e a decidere di
prendere in mano la questione bioetica?
La verità
è che siamo al punto che, nella platea pure tanto attenta e sensibile, nessuno
ha avuto il coraggio di pronunciarla, quella sera, quella parola lì, “testamento
biologico”, quasi fosse una parola tabù, da tacere per non urtare la
sensibilità di qualcuno.
Ho ben
chiaro che si tratta di questioni esageratamente delicate e complesse sulle
quali non è affatto semplice trovare una proposta equilibrata. Ma l’immobilismo
no. Non se ne può più. Il turbo-governo faccia qualcosa. Dimostri di essere per
davvero innovatore, di abbattere questi conservatorismi, queste croste, dimostri
di voler mettere al centro le persone a cui così spesso si rivolge: Marta,
Luca, Eluana o, molto più semplicemente, i cittadini italiani.
Noi, da
par nostro, come amministratori locali, non potremo che continuare ad inventarci
– nell’attesa - soluzioni tampone, istituire registri su registri che, ahinoi,
continueranno ad avere valore parziale e molto poco vincolante (ferma restante
la mia convinzione della profonda utilità di questi strumenti).
A
proposito. Sindaco Cascella, a che punto siamo con i nostri registri (unioni civili, ius soli, testamento biologico)? Quando li portiamo in consiglio comunale?
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